Dal libro di Giuseppe Sarasso e Paolo Viana.
Viene pubblicato nel 2015 un interessante contributo che, in occasione delle iniziative per ricordare il centenario della Grande Guerra che si sono realizzate anche a Vercelli tra il 2014 e il 2015, mette in luce alcuni aspetti della risicoltura vercellese durante la Prima Guerra mondiale. Il volume è curato dall’agronomo Giuseppe Sarasso e dal giornalista Paolo Viana, direttore de “Il Risicoltore” e del giornale online www.risoitaliano.eu.
Ringraziamo Giuseppe Sarasso che ci ha mandato questa breve sintesi di un racconto che si snoda per brevi capitoli e ha un taglio molto divulgativo, accessibile davvero a tutti.
“Agli inizi del '900 l’agricoltura, per quanto arretrata – o forse proprio in quanto arretrata – era l’asse portante della società italiana. La Grande Guerra le creò grandi problemi. La risicoltura era già allora fondamentale per il nostro territorio, e tecnologicamente molto più avanzata rispetto al resto dell’agricoltura italiana, grazie all’intuizione del fondatore e presidente dell’Unione Agricoltori di Vercelli, Marchese Vincenzo Ricci, che nel 1908 aveva fondato la Stazione Sperimentale di Risicoltura e delle Colture Irrigue. Questa, finanziata dai risicoltori, funzionò come portavoce unico nei confronti del Governo, che impose gravi sacrifici al settore. L’arruolamento di tutti gli uomini validi, dei buoi e dei cavalli, allora fondamento della capacità operativa delle aziende, costrinse donne, adolescenti ed anziani a svolgere anche i lavori più gravosi, solitamente riservati agli uomini giovani. Alla indisponibilità dei fertilizzanti azotati, prima importati dalla Germania, al rincaro dei pochi disponibili, ed alla requisizione del catrame per la manutenzione delle aie, si aggiunse il blocco delle esportazioni del riso, con il crollo dei prezzi nel 1915. Dal 1916, visto che erano tramontate le speranze di una rapida conclusione della guerra ed erano sopraggiunte gravi carenze alimentari, il risone fu requisito a prezzi politici. La risicoltura reagì con sperimentazioni per allora avveniristiche: il trapianto, l’introduzione dell’aratura meccanica, la semina su sodo, il proseguimento del miglioramento genetico: fu l’unico settore a scongiurare un crollo produttivo durante la guerra. Il Giornale di Risicoltura, quindicinale tecnico pubblicato a cura della Stazione Sperimentale, fu attivo nel divulgare i risultati degli esperimenti, e prodigo di suggerimenti pratici per ovviare alle grandi difficoltà. Dalle sue pagine, oltre a confrontarsi duramente sui temi economici con i vari governi succedutisi, sollecitò l’accoglienza dei profughi dalle zone di guerra dopo Caporetto, e divulgò la decisione assunta volontariamente dall’Unione Agricoltori di conservare il posto di lavoro ai salariati fissi arruolati nell’esercito, e l’uso dell’abitazione, compresa nel salario, ai famigliari rimasti a casa. I lavoratori dipendenti, che già usufruivano di compensi al limite della sopravvivenza, videro durante la guerra un incremento dei salari di 2,85 volte, a fronte di un rincaro di 4,17 volte del vestiario, e di 3,18 volte del cibo. Alla fine della guerra, al grido “Vittoria! Vittoria!” vi fu il ritorno dal fronte di reduci stremati, con la speranza poi delusa di un riconoscimento sociale per i patimenti affrontati, in famiglie altrettanto stremate dalle privazioni. Anche per questo l’epidemia di influenza “spagnola” causò più morti delle trincee, ed il malcontento di quegli anni contribuì alla nascita della dittatura. I risicoltori ottennero un risarcimento per le requisizioni di animali, e per i prezzi bassi corrisposti a compenso della requisizione del risone: una cifra modesta se distribuita, come si dice oggi, “a pioggia”, ma importante se utilizzata interamente per la ricerca, come fu chiesto allora dai rappresentanti dei risicoltori, dimostrando una mentalità estremamente imprenditoriale e moderna. Con quell’investimento, la Stazione di Risicoltura di Vercelli poté rafforzare ulteriormente la sua attività, fino a divenire un polo avanzato di ricerca riconosciuto in tutto il mondo, fornendo alla risicoltura italiana un vantaggio tecnologico che le permise di sopravvivere e prosperare per mezzo secolo. Fasti ormai dimenticati”.
Dal libro di Giuseppe Sarasso e Paolo Viana, "La risicoltura e la Grande Guerra", con una prefazione di Antonio Finassi, Interlinea edizioni, Novara 2015, pp. 99.